Il dolce retaggio culturale
Alla biografia della città di Modica concorre pure la dolce traccia del cioccolato, in cui possono ritrovarsi e ricomporsi i saperi generazionali codificati dalla grammatica esistenziale di quest’estremo lembo d’Europa. Prove documentarie hanno svelato una vera e propria storiografia sul Cioccolato di Modica restituendo percorsi, ricette e fragranze, esaltanti la secolare tradizione cioccolatiera come risorsa del territorio e della sua fascinosa cifra socio- culturale. Ancora oggi la lavorazione artigianale del cioccolato è un’arte ri-creata dal sapiente amalgama d’ingredienti semplici, inconfondibili e d’intenso aroma. Le carte d’archivio del ramo genovese del nobile casato Grimaldi [Archivio Grimaldi (1521 -1882), custodito nell’archivio di Stato Ragusa – Sez. di Modica.], insediatosi a Modica nel XVI secolo, documentano che nella capitale dell’antica Contea già nel 1746 “cicolateri” (sic , manipolavano aromatiche cotte di cacao. Dal valore storico-scientifico di fonti primarie si è ricavata la certezza anagrafica del rinomato cioccolato modicano, attivando la tutela di uno straordinario retaggio culturale.
I manoscritti attraversano, come in una mappa immaginaria, un consistente arco temporale (1746-1915) contrassegnato dal consumo di cioccolato nella varietà più ricercata, come si addiceva all’aristocratica golosità nella Modica del settecento, senza trascurare la fioritura dei Caffè che, alla fine dell’ottocento, diventarono fabbriche di una tipica cioccolata detta appunto di Modica. Emersi dai libri del tempo, i cioccolatieri modicani ripetevano gestualità e modalità di lavorazione mutuati dagli Spagnoli. Non bisogna dimenticare, infatti, che la leggendaria e potente Contea di Modica (1296/1816), durante i suoi lunghi secoli di vita rimase quasi sempre sotto il dominio della Spagna. All’influenza spagnola è certamente da attribuire la consuetudine cioccolatiera delle aristocrazie locali, blasonati interpreti della vocazione nobile del cioccolato e della sua amabile convivialità. Nella seconda metà del ‘700 l’elite locale consumava cioccolata calda preferibilmente in due momenti ben distinti: al risveglio e nelle riunioni salottiere serali, utilizzando chicchere apposite oltre a splendide cioccolatiere d’argento, come attestano le fonti archivistiche. L’ottocento con l’abolizione della feudalità segna la fine della Contea di Modica, che dal XIV secolo per funzioni amministrative, giurisdizionali e di direzione politica si configurava come il più importante stato feudale dell’isola. Eppure la città, espressione dello storico policentrismo ibleo, tra alterne vicende, continuò a non disperdere il suo patrimonio umano, storico e culturale. Soltanto alla fine del XIX secolo, in concomitanza con la comparsa, come già accennato, dei primi Caffè, luoghi nuovi di relazioni e d’incontri al di fuori dei legami usuali, e soprattutto con la coeva affermazione della borghesia, si estese ad altri ceti sociali il consumo del bruno nettare degli dei. Determinante permane, perciò, la presenza dei cioccolatieri, autori e pionieri, fino a prova contraria, della vera storia del cioccolato di Modica: Giuseppe Scivoletto nel 1746, Antonino Lo Castro e suo figlio Angelo nel 1753, Giuseppe Melita e Giacinto Scapellato nel 1785. Nel 1953 Carmelina Naselli, ordinaria di Storia delle Tradizioni Popolari all’Università degli Studi di Catania, nel suo saggio “Empanadilla” affermava che «Modica ha una sua specialità tradizionale, proprio di origine spagnola seicentesca: quella della cioccolata -ed aggiungeva – una speciale cioccolata detta appunto «di Modica», assai pregiata nell’uso domestico, da tempo passata altresì ai dolcieri di professione e conosciuta anche fuori». [C. Naselli, Studi di folklore: drammatica popolare, culto degli alberi, tarantella, empanadilla, G. Crisafulli, Catania, 1953, p.112]. Nella dettagliata monografia su “La Contea di Modica” [L. Sciascia, G. Leone, La Contea di Modica, Electa Editrice, Milano 1983, p.11]. Leonardo Sciascia poteva sostenere, senza tema di smentita, che gustare il cioccolato di Modica significava spingersi all’archetipo, all’assoluto, mediando, e siamo nel 1983, le parentele tra il cioccolato alicantino e quello di Modica. Riaffiorano così luoghi ed eventi, protagonisti e comprimari, che possono rappresentare, alla soglia del terzo millennio, la chiave di lettura per non travolgere l’eredità del passato e gli esiti del mutamento, legittimati in eguale misura dalla forza della memoria e dalla vibrante tensione del futuro. Del resto è oramai accertato che l’arte cioccolatiera non ingloba solo i campi del gusto e del piacere, ma anche quelli della storia, dell’arte, del costume, della sociologia, dell’economia e persino della geopolitica. Modica può, finalmente, raccontare la storia documentata del suo ineguagliabile cioccolato, che perdura come mirabile ispiratore di arte, letteratura, teatro, cinema e soprattutto come messaggero degli ammalianti connubi tra cibo e cultura territoriale. (Grazia Dormiente)
La pianta del cacao
Tra gli alimenti che gli spagnoli importarono dall’America (allora denominata Indie Occidentali), uno dei più apprezzati fu il cacao. Per gli Aztechi numerose permangono le testimonianze relative al consumo del cacao, poiché tutti i Conquistatori ed i frati missionari arrivati in Messico ne comunicarono consuetudini e rituali, invece per le altre popolazioni meso-americane, pionieri nella coltivazione del Theobroma Cacao L., sono stati rilevanti i dati archeologici, iconografici e persino chimici. Così le ricerche archeologiche attestano che gli Olmechi del Golfo del Messico – ca. 1500- 400 a.C – siano stati i primi ad addomesticare la pianta e ad utilizzare il cacao come cibo. Saranno poi i Maya, a consacrare il cacao a “Cibo degli Dei” e ad usarne i semi, similmente agli Aztechi, come nutrimento e come moneta. Dopo la conquista spagnola del Messico fiorirono straordinari testi sul cacao e la cioccolata, che compongono il ricco patrimonio librario reso fruibile dalla diffusa digitalizzazione del nostro tempo.
Descrizione: Si presenta in forma di albero sempreverde, alto 5-10 m.
Foglie: Foglie persistenti, alterne, ovali, con margine lievemente ondulato, lucide nella parte superiore, con picciolo fogliare dotato di articolazione che permette di orientarsi a seconda dell’intensità luminosa. Non tutte le specie di cacao hanno le foglie verdi.
Fiori: Piccoli fiori sparsi a mazzetti, bianchi, verdi o rosei, che spuntano direttamente sul tronco o sui rami adulti; di essi solo pochi si trasformeranno in cabosside, ovvero in frutti del cacao; hanno un calice profondamente diviso, i cinque petali sono clavati, l’ovario è sessile.
Frutti: Dall’ovario si sviluppa il frutto (cabossa) a forma di cedro allungato, di colore giallastro-verdognolo, che diventa bruno-rossastro a maturazione, con la buccia solcata da 10 strisce longitudinali e contenente da 25 a 40 semi; i semi sono immersi in una sostanza ricca di zuccheri, chiara e di consistenza gelatinosa. Il peso della cabosside è variabile fra 300 e 500 grammi, lunghezza di 10–15 cm. In casi eccezionali tale frutto può arrivare anche a 1 kg.
Il museo del cioccolato di Modica
Il gusto del cioccolato modicano
La barretta di cioccolato modicano, non si può improvvisare. Forme moderne, aerodinamiche, artistiche, non sono ammesse. Dagli stampi metallici esce ancora, da centinaia di anni, sempre la stessa, squisita barretta di Cioccolato Modicano. Da sempre a Modica si produce cioccolato aromatizzato con CANNELLA, VANIGLIA e da alcuni anni vi è stata la riscoperta dell’aromatizzazione arcaica al PEPERONCINO. Quasi tutti i laboratori artigianali che producono il pregiato Cioccolato Modicano, propongono ormai altre varianti di gusto da affiancare alla produzione dei gusti tradizionali: CAFFÈ, ARANCIA, LIMONE, AGRUMI MISTI, ANICE, CARRUBA, e NATURALE le essenze più utilizzate. Alcuni Produttori propongono i gusti MENTA, con aggiunta di GRANELLA DI MANDORLE o aromatizzato al PEPE BIANCO, al PISTACCHIO, allo ZENZERO, alla MANNA, al SALE DI TRAPANI…
Le misure standard della barretta di Cioccolato Modicano: Lunghezza 13 cm, Larghezza 4,5 cm e Altezza 1,2 cm. Peso 100 grammi all’origine, avvolta in carta oleata.
Il metodo di produzione artigianale
Oggi il procedimento è regolato dal disciplinare della Denominazione Comunale, che tutela e garantisce la produzione esclusiva nel territorio.
Partendo da una massa ottenuta macinando i semi del cacao e senza privare tale massa del burro di cacao in essa contenuto, l’impasto viene riscaldato a bassa temperatura per poi mescolarsi con zucchero semolato e spezie varie come la cannella, la vaniglia, il peperoncino. Il composto ottenuto viene mantenuto ad una temperatura che non fa sciogliere i cristalli di zucchero, che rimangono integri all’interno dell’impasto. Oggigiorno si amalgama il tutto con una raffinatrice (odierno, moderno metate) per poi passare alla fase della battitura del composto nelle forme. La lavorazione “a freddo” di questo impasto, non include quindi la fase del “concaggio” mantenendo quindi aromi che sarebbero altrimenti destinati a scomparire. La semplicità della lavorazione senza aggiunta di burro o di altri grassi vegetali, conferisce alle barrette quindi il caratteristico aroma.
Il sistema di lavorazione artigianale conferisce al cioccolato di Modica, manipolato senza superare la temperatura di fusione dello zucchero, quella tipica granulosità che tuttora lo qualifica e caratterizza. Probabilmente solo alla fine degli anni sessanta del novecento i cioccolatieri locali preferirono all’acquisto delle fave di cacao – prima tostate e macinate in loco – la fornitura della pasta amara, (massa di cacao non concata) mantenendo però la tradizionale preparazione “a basse temperature”. Processo che ha consentito non solo di mitizzare il prodotto principe della pasticceria locale, ma anche di incrementare in anni recenti uno dei settori trainanti le plurali seduzioni della città. A fecondo indicatore temporale e di costume assurge, perciò, l’esito della ricerca archivistica, promossa e sostenuta dal CTCM, che ha concorso a liberare dal polveroso oblio, non solo i nomi di cioccolatieri attivi a Modica a partire dal 1746, ma anche ingredienti, computi di peso e misura, unitamente al lessico inerente oggetti, attrezzi ed utensili.
Il cioccolatiere, inginocchiato ed impugnando il litico pestello, amalgamava cacao amaro, zucchero e spezie, ripetendo sulla valata ra ciucculatti (si tratta di un lastrone di pietra quadrilungo, sostenuto su tre piedi, in modo da formare un piano inclinato preriscaldato appunto,) la gestualità di ispanica filiazione diffusasi nell’ Europa del settecento prima della meccanizzazione e della rivoluzione industriale, che a Modica non ha cancellato i segreti dell’artigianalità. In tale ottica è stato realizzato il “Dammusu ro Ciucculattaru”, sezione animata del Museo del Cioccolato di Modica che propone la ricostruzione di un laboratorio settecentesco, dove maestri cioccolatieri amalgamano cacao, zucchero e spezie per ricavarne barrette di irresistibile fragranza. (Grazia Dormiente)
Dal sito http://www.cioccolatomodica.it/storia.html